Il presidente Donald Trump ha rivelato che gli Stati Uniti sono in trattative con la Cina per un potenziale accordo commerciale, esprimendo ottimismo sulla possibilità di raggiungere un’intesa entro “tre o quattro settimane”. L’annuncio, riportato da ABC News e Fox News, arriva in un momento di acute tensioni commerciali, con i dazi statunitensi sui prodotti cinesi che hanno raggiunto il livello record del 145% e Pechino che ha risposto con contromisure sempre più aggressive, incluse restrizioni all’esportazione di materiali strategici.
Comunicazioni riservate tra Washington e Pechino
Le dinamiche diplomatiche tra le due superpotenze rimangono avvolte in un velo di ambiguità. Interrogato su eventuali contatti diretti con il presidente cinese Xi Jinping, Trump ha mantenuto un atteggiamento cripticamente evasivo: “Non ho mai detto se siano avvenute o meno. Non è appropriato”, ha dichiarato, aggiungendo però un suggestivo: “Si potrebbe pensare che sia abbastanza ovvio che sia successo, ma ne parleremo presto.”
Questa reticenza presidenziale lascia intendere che canali di comunicazione ad alto livello potrebbero essere stati attivati, nonostante la posizione ufficiale della Cina rimanga quella di una disponibilità al dialogo condizionata a un cambio di approccio da parte americana.
I funzionari cinesi hanno adottato un linguaggio simbolico per descrivere la situazione, citando un proverbio significativo: “Chi ha legato il campanello deve essere colui che lo scioglie”. Il messaggio è chiaro: secondo Pechino, poiché gli Stati Uniti hanno avviato la guerra dei dazi, spetta a Washington fare il primo passo concreto verso la risoluzione.
Un segnale di apertura è arrivato con la nomina da parte della Cina di Li Chenggang, già ambasciatore presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio, come nuovo rappresentante per il commercio internazionale. Questa mossa indica una predisposizione al negoziato, seppur accompagnata dall’esortazione agli Stati Uniti a “cessare immediatamente le sue tattiche di massima pressione, coercizione e ricatto.”
L’escalation senza precedenti: dazi fino al 245%
La situazione attuale rappresenta il punto più critico nelle relazioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Nell’aprile 2025, l’amministrazione Trump ha aumentato l’aliquota dei dazi sulle importazioni cinesi al 145% – un valore che rappresenta la combinazione di un dazio reciproco del 125% e di un dazio aggiuntivo del 20% collegato alla crisi degli oppioidi sintetici, in particolare il fentanyl.
Ma il quadro è ancora più complesso per alcune categorie di prodotti. Considerando anche i dazi preesistenti della Sezione 301, che variano dal 7,5% al 100%, alcune merci cinesi sono soggette a un’imposizione tariffaria complessiva che può raggiungere l’incredibile cifra del 245%. I veicoli elettrici e le siringhe figurano tra i prodotti colpiti da questa aliquota massima.
La risposta di Pechino non si è fatta attendere. La Cina ha imposto a sua volta dazi dell’84% sui beni statunitensi, accompagnando la misura con l’avvertimento che “combatterà fino alla fine” se gli Stati Uniti continueranno a danneggiare gli interessi cinesi. A differenza di altre nazioni che hanno cercato negoziati dopo gli annunci dei dazi di Trump, Pechino ha inizialmente rifiutato di avviare colloqui, definendo le azioni statunitensi “irrazionali” e una “inutile gara di numeri sui dazi.”
Gli effetti di questa escalation si sono fatti sentire immediatamente sugli scambi commerciali. A Hong Kong, ad esempio, sono state sospese le consegne verso gli Stati Uniti dopo l’eliminazione delle esenzioni all’importazione per i piccoli pacchi, un segnale del profondo sconvolgimento causato da questa guerra commerciale.
L’arma strategica delle terre rare
Mentre i negoziati procedono sottotraccia, la Cina ha deciso di giocare una carta potenzialmente decisiva: il controllo sulle terre rare, materiali critici per numerose tecnologie avanzate, dalla difesa ai veicoli elettrici, dall’elettronica di consumo ai sistemi di energia rinnovabile.
Pechino ha imposto restrizioni all’esportazione su sette elementi chiave delle terre rare: samario, gadolinio, terbio, disprosio, lutezio, scandio e ittrio. Pur non configurandosi come un divieto totale, queste misure obbligano i produttori cinesi a ottenere licenze speciali per l’esportazione, bloccando di fatto le spedizioni mentre il sistema di autorizzazioni viene implementato.
Si tratta di una mossa strategicamente calcolata che sfrutta la posizione dominante della Cina nella catena di approvvigionamento globale di questi materiali critici. Il paese asiatico controlla infatti più di due terzi della produzione mondiale di terre rare e oltre il 90% della capacità di lavorazione, un quasi-monopolio che conferisce a Pechino un notevole potere negoziale.
“Ciò che il petrolio è stato per il XX secolo, i minerali delle terre rare lo sono per il XXI”, ha osservato Sean McFate della Syracuse University, sottolineando l’importanza geopolitica di questi materiali. Gli Stati Uniti si trovano in una posizione di particolare vulnerabilità, con una sola miniera domestica di terre rare e nessuna capacità di separazione delle terre rare pesanti, cruciali per applicazioni militari avanzate.
La situazione è ulteriormente complicata dall’inserimento, da parte della Cina, di 16 entità statunitensi – principalmente aziende dei settori della difesa e dell’aerospaziale – nella sua lista di controllo delle esportazioni, limitando il loro accesso a questi materiali strategici. Questa decisione dimostra la disponibilità di Pechino a utilizzare il suo dominio sulle terre rare come leva nelle trattative commerciali con Washington.
Prospettive e implicazioni
L’annuncio di Trump su un possibile accordo imminente solleva interrogativi sulla natura delle concessioni che entrambe le parti potrebbero essere disposte a fare. Gli analisti si chiedono se gli Stati Uniti potrebbero accettare di ridurre gradualmente i dazi in cambio di un maggiore accesso al mercato cinese o di garanzie sulla protezione della proprietà intellettuale, temi tradizionalmente al centro delle frizioni commerciali tra i due paesi.
D’altra parte, la Cina potrebbe cercare non solo un allentamento dei dazi ma anche una revisione delle restrizioni tecnologiche imposte dagli Stati Uniti, in particolare nel settore dei semiconduttori e dell’intelligenza artificiale.
La posta in gioco è estremamente alta per entrambe le economie. Per gli Stati Uniti, la prosecuzione della guerra commerciale rischia di alimentare pressioni inflazionistiche, danneggiare settori economici dipendenti dalle importazioni cinesi e compromettere l’accesso a materiali critici come le terre rare. Per la Cina, le tariffe americane rappresentano un ostacolo significativo per un’economia già alle prese con sfide strutturali, come il rallentamento del settore immobiliare e le pressioni demografiche.
Il possibile accordo annunciato da Trump, se confermato, potrebbe segnare l’inizio di una nuova fase nelle relazioni commerciali sino-americane, anche se gli osservatori rimangono cauti sulle prospettive di una risoluzione completa e duratura di tensioni che ormai trascendono l’ambito puramente commerciale per investire questioni di sicurezza nazionale, supremazia tecnologica e influenza geopolitica.